La Juventus ha vinto ancora, una scena a cui dopo nove anni ormai si è fatta l'abitudine, quasi come se fosse la normalità, una circostanza per certi versi ineludibile e a cui si assiste impotenti. Ogni anno c'è almeno una società che parte con dichiarate ambizioni Scudetto, nella convinzione che fisiologicamente la dinastia bianconera non potrà durare in eterno, per poi scontrarsi con la realtà del campo che rivela la superiorità di una sola squadra, sempre la stessa.
Ma mai come in questa stagione si è avuta la sensazione che il campionato non abbia avuto una concorrente credibile che potesse impedire alla Juventus di veleggiare, a ritmi vacanzieri, verso il nono Tricolore consecutivo. Perché detto degli imprevedibili problemi interni del Napoli che era la rivale ai nastri di partenza più accreditata, l'Inter non ha saputo capitalizzare il salto della barricata degli ex juventini Conte e Marotta, la Lazio ha accarezzato un sogno scioltosi come neve al sole con la pandemia e l'Atalanta, la meravigliosa Atalanta, ha cambiato passo dopo aver già lasciato per strada punti pesanti. È vero, a Torino sono stati vinti campionati con scarti molto più pesanti, ma quelle erano squadre di cannibali che hanno scritto libri di storia del calcio italiano, lasciando le briciole agli altri nonostante la prima Roma di Rudi Garcia e l'ultimo Napoli di Sarri abbiano fatto segnare nuovi record societari per punti conquistati. Questa Juventus invece è una squadra di grandi campioni, ma che ha mostrato il fianco in più di un'occasione alle avversarie, e che a due giornate dalla fine di questa lunghissima Serie A non ha né il miglior attacco (nonostante un super Ronaldo), né soprattutto la miglior difesa.
Chi si deve mangiare di più le mani di fronte a questa inconsueta sensazione di attaccabilità che la Vecchia Signora ha offerto? Tra la concorrenza, l'Inter era la squadra più attesa, per gli investimenti di Suning e perché Antonio Conte in panchina è sinonimo di vittoria, specialmente il primo anno; l'Atalanta invece era l'outsider che nessuno si aspettava, e le cui speranze di Scudetto si sono infrante sul fallo di mano di Muriel che ha permesso a CR7 di pareggiare i conti nello scontro diretto dello Stadium. È opinione unanime comunque, nonostante i punti persi ingenuamente che alimentano i rimpianti, che i nerazzurri abbiano tutto per riprovarci nel prossimo futuro: una guida tecnica vincente, una società solida, una proprietà danarosa e una rosa che viene costantemente migliorata.
E allora forse l'occasione migliore a pensarci bene l'ha persa la Lazio. La truppa di Inzaghi ha disputato una stagione splendida, ben al di sopra delle aspettative, fino a portarsi a -1 dallo squadrone bianconero. Si è battuta con ardore attraverso il suo Presidente per riprendere, perché vedeva alla portata un obiettivo ambizioso, sfumato dopo aver sbattuto sul muro dei limiti di una squadra non costruita per raggiungere quel traguardo con il fardello di dover giocare ogni tre giorni. Probabilmente chiuderà con Immobile capocannoniere nonché Scarpa d'oro, fatto eccezionale. E nulla vieta ai biancocelesti di ripetersi l'anno prossimo, quando però ci sarà una Champions conquistata a 13 anni di distanza dall'ultima volta da godersi in pieno, e a patto di un mercato da big che allunghi sensibilmente le rotazioni. Quest'ultimo probabilmente, conoscendo l'oculatezza di Lotito, è l'elemento che distingue la Lazio dalle altre colleghe di rimpianti o "perdenti", come le chiamerebbe Conte, di questo campionato.
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