Neanche i numerosissimi tifosi milanisti chiamati a raccolta da Inzaghi per il big match contro la Juventus sono riusciti a spingere la propria squadra alla vittoria:il Milan dopo due vittorie incoraggianti si affacciava a questa partita,come a un esame di maturità,avendo di fronte la squadra che ha imposto la sua egemonia in Italia negli ultimi tre anni e che non sembra minimamente aver voglia di abdicare.Troppo forte però la Juventus di Allegri,che tornava a San Siro dopo la sua lunga esperienza con il Diavolo e uno scudetto vinto,per la banda Inzaghi.I rossoneri molto raramente hanno impaurito Buffon,che in quattro partite ufficiali ha mantenuto sempre la propria porta inviolata,soffrendo parecchio gli inserimenti di Roberto Pereyra,che evidentemente sta beneficiando anche della vicinanza con Vidal,e la verve di Claudio Marchisio,ancora una volta ottimo nel disimpegnarsi nel ruolo di Andrea Pirlo ancora ai box.A decidere la partita ci ha pensato il solito Tevez,a segno a ripetizione nelle ultime uscite,con una bella giocata in combinazione con Pogba.Se questo Milan a ragione può sperare di togliersi delle soddisfazioni e di dimenticare il passato annus horribilis,la strada da fare per giocarsela ad armi pari con squadre come la Juve,e per competere per lo scudetto come entusiasticamente dichiarato da Berlusconi,è lontana.Dal canto suo Massimiliano Allegri si gode un giocattolo apparentemente perfetto,un collettivo che gioca memoria,con la mentalità vincente che Conte gli ha lasciato in dote,ma va sottolineato anche il merito dell'ex allenatore del Cagliari che ha alimentato la fame dei suoi giocatori,ciò che temeva di non riuscire a fare l'ora tecnico dell'Italia,ponendosi nel modo giusto nei confronti dell'ambiente e dello spogliatoio nonostante la pesante eredità.La sensazione,a maggior ragione dopo questa partita,è che l'unica che possa fermare il monopolio bianconero sia la Roma,che dovrà rispondere oggi con una vittoria senza lsciarsi prendere da sentimentalismi nel riaccogliere all'Olimpico Zdenek Zeman.
Se la Roma non riesce a spiccare il volo nei big match, venendo puntualmente ridimensionata, uno dei motivi risiede probabilmente nell'inesperienza ad alti livelli di alcuni titolari dell'undici tipo: giocatori come Ibanez, Villar e Karsdorp hanno mostrato ottime qualità nel corso della stagione, ma non hanno familiarità nel competere per traguardi come la qualificazione alla Champions League, proveniendo chi da mesi in panchina all'Atalanta, chi dalla seconda serie spagnola. Contro il Napoli mancavano, oltre a Veretout, Mkhitaryan e Smalling, due tra i più navigati nella rosa di Fonseca, anche se in campo c'erano comunque Dzeko e Pedro. Lo spagnolo in particolare era stato acquistato in estate a parametro zero dal Chelsea per rappresentare un valore aggiunto in termini di leadership e mentalità vincente, in virtù della sua sconfinata bacheca. Se da questo punto di vista non sembra aver particolarmente inciso sulla maturità del gruppo giallorosso, peraltro con più di un...
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