Il rapporto della Juventus con le fasi ad eliminazioni diretta della Champions sembra farsi più complicato ogni anno che passa. I tempi di Berlino e Cardiff sembrano così lontani, anche se le finali del 2015 e del 2017 cronologicamente non sono poi seppellite in un passato così polveroso. In mezzo però sono cambiati i giocatori, gli allenatori, si è chiuso un ciclo e se ne è aperto un altro alla ricerca del Sacro Graal di un calcio più moderno e fluido che, ieri con Sarri e oggi con Pirlo, i bianconeri non riescono ad assimilare.
E così ci si trova a commentare una sconfitta al Dragão simile nei contenuti, scadentissimi, e nel risultato a quella di una stagione fa al Parc OL contro la squadra di Rudi Garcia. Il 2-1 in terra portoghese è frutto di un cocktail indigesto di fattori: dal regalo di Bentancur in avvio che ha sconvolto i piani tattici, alle assenze e alla precaria condizione fisica con cui si sono presentati all'appuntamento europeo alcuni giocatori chiave, passando per il penalty allo scadere non assegnato a Ronaldo che, se trasformato, avrebbe inevitabilmente modificato la visione di insieme dei 90'. La Juve ha tutte le possibilità di ribaltare il discorso qualificazione all'Allianz Stadium grazie al gol di Chiesa in trasferta, anche perché contro c'è un Porto più organizzato e agonisticamente sul pezzo che non qualitativo, ma deve cominciare a liberarsi dagli alibi che si porta dietro. Ieri è stato l'approccio sbagliato in entrambe le frazioni di gioco, a Napoli gli episodi arbitrali avversi.
Alla squadra di Pirlo si chiede di ritrovare quella mentalità e quel furore che nel 2018 resero possibile la remuntada ai danni dell'Atletico Madrid, di arrivare almeno con il carattere dove non arrivano le idee. E che la serie di prestazioni ingiustificabili (Fiorentina, Barcellona in casa, Inter in campionato) archiviate come incidenti di percorso, sia terminata una volta per tutte.
E così ci si trova a commentare una sconfitta al Dragão simile nei contenuti, scadentissimi, e nel risultato a quella di una stagione fa al Parc OL contro la squadra di Rudi Garcia. Il 2-1 in terra portoghese è frutto di un cocktail indigesto di fattori: dal regalo di Bentancur in avvio che ha sconvolto i piani tattici, alle assenze e alla precaria condizione fisica con cui si sono presentati all'appuntamento europeo alcuni giocatori chiave, passando per il penalty allo scadere non assegnato a Ronaldo che, se trasformato, avrebbe inevitabilmente modificato la visione di insieme dei 90'. La Juve ha tutte le possibilità di ribaltare il discorso qualificazione all'Allianz Stadium grazie al gol di Chiesa in trasferta, anche perché contro c'è un Porto più organizzato e agonisticamente sul pezzo che non qualitativo, ma deve cominciare a liberarsi dagli alibi che si porta dietro. Ieri è stato l'approccio sbagliato in entrambe le frazioni di gioco, a Napoli gli episodi arbitrali avversi.
Alla squadra di Pirlo si chiede di ritrovare quella mentalità e quel furore che nel 2018 resero possibile la remuntada ai danni dell'Atletico Madrid, di arrivare almeno con il carattere dove non arrivano le idee. E che la serie di prestazioni ingiustificabili (Fiorentina, Barcellona in casa, Inter in campionato) archiviate come incidenti di percorso, sia terminata una volta per tutte.
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