A giudicare dai reciproci gesti di insofferenza di ieri sera, per usare un eufemismo, sembra che gli anni dell'idillio vincente tra Andrea Agnelli e Antonio Conte siano seppelliti nei ricordi di un passato sbiadito. Eppure i due adesso si detestano perché hanno condiviso tanto e probabilmente si sono sentiti traditi l'uno dall'altro: odi et amo, come scriveva Catullo nel suo carme più famoso.
D'altronde Conte, quando fu scelto nel 2011 dal neo-presidente bianconero, incarnava nella stessa persona sia la bandiera di una juventinità sempre orgogliosamente esibita, sia l'homo novus, in quanto giovane allenatore incaricato di riportare ai fasti del passato (quando lui stesso indossava ancora gli scarpini) una Juventus da poco risorta dalle ceneri dopo l'incubo Calciopoli. Per tre anni solo trionfi, sorrisi, pacche sulle spalle. Poi quando stravincere in Italia non bastò più e il progetto di rinascita cominciò ad arenarsi sulla legittima ambizione di sedersi allo stesso tavolo delle big europee arrivarono le prime frizioni: la famosa frase "non si può mangiare ad un ristorante da 100 euro con solo 10 euro in tasca" non fu mai digerita dai vertici dirigenziali e rappresentò il primo campanello d'allarme verso la rottura consumatasi improvvisamente a ritiro estivo già iniziato il 15 Luglio 2014.
Conte fece l'errore di non credere nei margini di crescita economico-aziendali e quindi tecnici della Juventus, circostanza che Agnelli gli rimprovererà indirettamente nel 2017 ("Vorrei spendere una parola per mister Allegri, per la sua capacità di portare avanti un lavoro che per altri sembrava terminato"), durante un'assemblea degli azionisti. Strade irrimediabilmente separate, nonostante gli abboccamenti per un possibile ricongiungimento. Opzione a cui il numero uno della Vecchia Signora si è sempre opposto, nonostante il placet di Nedved e Paratici e la volontà dell'attuale tecnico dell'Inter di riannodare quel filo spezzato, prima di sposare la causa nerazzurra.
La ricostruzione di un rapporto ormai logoratosi col tempo culmina con i fuori campo di ieri tra diti medi e male parole che hanno animato la semifinale di ritorno della Coppa Italia più di uno scialbo 0-0. Rilevanza limitata hanno le ricostruzioni dei due club su chi abbia provocato chi, anche se contribuiscono ad alimentare le polemiche del giorno dopo tra le due tifoserie. In fondo va detto senza ipocrisia, i fuori programma di ieri non saranno l'apice dello stile e della sportività, ma il calcio cosa sarebbe senza di essi a fare da contorno a una partita altrimenti facilmente dimenticabile nei contenuti?
D'altronde Conte, quando fu scelto nel 2011 dal neo-presidente bianconero, incarnava nella stessa persona sia la bandiera di una juventinità sempre orgogliosamente esibita, sia l'homo novus, in quanto giovane allenatore incaricato di riportare ai fasti del passato (quando lui stesso indossava ancora gli scarpini) una Juventus da poco risorta dalle ceneri dopo l'incubo Calciopoli. Per tre anni solo trionfi, sorrisi, pacche sulle spalle. Poi quando stravincere in Italia non bastò più e il progetto di rinascita cominciò ad arenarsi sulla legittima ambizione di sedersi allo stesso tavolo delle big europee arrivarono le prime frizioni: la famosa frase "non si può mangiare ad un ristorante da 100 euro con solo 10 euro in tasca" non fu mai digerita dai vertici dirigenziali e rappresentò il primo campanello d'allarme verso la rottura consumatasi improvvisamente a ritiro estivo già iniziato il 15 Luglio 2014.
Conte fece l'errore di non credere nei margini di crescita economico-aziendali e quindi tecnici della Juventus, circostanza che Agnelli gli rimprovererà indirettamente nel 2017 ("Vorrei spendere una parola per mister Allegri, per la sua capacità di portare avanti un lavoro che per altri sembrava terminato"), durante un'assemblea degli azionisti. Strade irrimediabilmente separate, nonostante gli abboccamenti per un possibile ricongiungimento. Opzione a cui il numero uno della Vecchia Signora si è sempre opposto, nonostante il placet di Nedved e Paratici e la volontà dell'attuale tecnico dell'Inter di riannodare quel filo spezzato, prima di sposare la causa nerazzurra.
La ricostruzione di un rapporto ormai logoratosi col tempo culmina con i fuori campo di ieri tra diti medi e male parole che hanno animato la semifinale di ritorno della Coppa Italia più di uno scialbo 0-0. Rilevanza limitata hanno le ricostruzioni dei due club su chi abbia provocato chi, anche se contribuiscono ad alimentare le polemiche del giorno dopo tra le due tifoserie. In fondo va detto senza ipocrisia, i fuori programma di ieri non saranno l'apice dello stile e della sportività, ma il calcio cosa sarebbe senza di essi a fare da contorno a una partita altrimenti facilmente dimenticabile nei contenuti?
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