Il mercato dei parametri zero, o free agents come vengono chiamati negli States, negli ultimi anni ha acquisito sempre maggiore importanza. In Italia una delle chiavi dei successi della Juventus nell'ultimo decennio è stata la capacità di attrarre tramite il progetto sportivo giocatori giovani e meno giovani, come Pogba, Khedira e l'attuale allenatore bianconero Andrea Pirlo, senza dover sostenere trattative e costi legati all'acquisto dei relativi cartellini. Beppe Marotta nei suoi anni torinesi è stato grande promotore di questa strategia che poi ha portato avanti all'Inter e che è stata assimilata anche dal suo allievo e braccio destro Fabio Paratici come dimostrato dagli arrivi di Rabiot e Ramsey. Non sempre però le proverbiali sette camicie che i club devono sudare durante la fase del corteggiamento agli appetiti giocatori prossimi allo svincolo, corrispondono poi al trattamento e alla fiducia che gli stessi ricevono una volta scelta la loro destinazione.
È il caso ad esempio di Emre Can, che arrivò allo Stadium nel 2018 in pompa magna dopo aver rifiutato ripetutamente il rinnovo con il Liverpool, che curiosamente dopo il suo addio ha vinto una Champions League e una Premier League attesa da 30 anni. Dopo un primo anno in Italia positivo e in crescendo, grazie anche ad una certa duttilità che permise ad Allegri di schierarlo come terzo di difesa nei momenti cruciali della stagione, le cose per il tedesco precipitano con il cambio di allenatore. Maurizio Sarri non lo ritiene adatto per il suo centrocampo ideale, ma gli ci vogliono sei mesi ai margini della rosa per accettare il Borussia Dortmund e regalare alla Juventus una succosa plusvalenza, a soli 18 mesi dall'inizio della nuova avventura.
La vicenda richiama quella di Diego Godin, forse dai contorni ancora più surreali. Uno dei colpi a cinque stelle dell'estate nerazzurra, consacratosi come uno dei difensori più arcigni del panorama europeo sotto la guida del Cholo Simeone, ha dovuto convivere con giudizi al limite dello schizofrenico nella sua prima, e a questo punto unica, stagione a Milano. Da difensore bollito incapace di adattarsi ad un nuovo modulo a campione che con umiltà è riuscito a reinventarsi e risorgere nella insolita cavalcata agostana di Europa League, da riserva del giovane rampante Bastoni a sceriffo della retroguardia che ha fatto scivolare Skriniar in panchina. Tutto nel giro di pochi mesi. Eppure l'Inter ha deciso di liberarsi dell'uruguaiano nel suo momento migliore, agevolandone l'uscita in direzione Cagliari tramite buonuscita e persino proponendosi di pagare un paio di mensilità dell'ingaggio, pur di rimediare ad un triennale da 6 milioni netti compresi bonus firmato un anno fa, che nel mezzo di una pandemia, è nel frattempo diventato un errore finanziariamente insostenibile. E poco importa in fondo che Conte perda uno dei pochi elementi davvero vincenti in squadra, che non ha mai detto una parola fuori posto quando è stato accantonato a favore di un compagno di 13 anni più giovane, che ha lasciato in lacrime quella che considerava una famiglia all'Atletico Madrid per fare questa nuova esperienza.
Sedotti e poi accompagnati all'uscita, questo il destino che accomuna alcuni parametri zero lasciatisi convincere da ponti d'oro e promesse non mantenute di un futuro insieme.
Commenti