Prima dell'interruzione forzata del campionato a causa della preoccupante emergenza sanitaria,la squadra sulla bocca di tutti i tifosi e addetti ai lavori era indubbiamente la Lazio.Nessuno a inizio anno avrebbe pronosticato la Lazio così in alto a questo punto della stagione,a -1 dalla cima della classifica occupata dalla Juventus e con una striscia aperta di 21 risultati utili consecutivi.Il tutto condito dalla ciliegina della Supercoppa italiana strappata ai bianconeri a Dicembre.Polverizzato anche il record delle nove vittorie consecutive della Lazio di Eriksson versione 98-99,dalle undici dei ragazzi di Simone Inzaghi.Un confronto proprio con la formazione del ciclo vincente di Eriksson si rivela particolarmente interessante per analizzare le rinnovate ambizioni di vertice dell'Aquila.Partendo dal basso balza subito all'occhio la presenza di due baluardi difensivi leader della retroguardia,come Nesta ed Acerbi,sebbene difficilmente l'ex Sassuolo a fine carriera potrà vantare un palmares incredibile come quello del campione del mondo nel 2006.Dall'altro del campo invece si riscontrano le principali differenze: se Inzaghi oggi può contare su un cannoniere e catalizzatore di goal come Immobile,perfetto terminale offensivo di una squadra veloce e verticale,Eriksson nell'anno dello Scudetto faceva affidamento sulla coppia Salas-Inzaghi,proprio lui,oltretutto spesso alternati per privilegiare moduli con una sola punta centrale.Il miglior marcatore del campionato biancoceleste fu il cileno Salas,con 13 reti contro le ben 27 di Immobile ai nostri giorni.Questo perché la formazione del secondo Scudetto poteva contare sul contributo realizzativo di ogni reparto,in primis il centrocampo.Ed è proprio in mezzo al campo che la Lazio di ieri e di oggi costruisce i suoi successi e le sue velleità di vittoria.All'intelligenza tattica di Leiva,l'estro di Luis Alberto,e il talento universale di Sergej Milinkovic-Savic,i primi biancocelesti del nuovo millennio potevano contrapporre un decalogo di centrocampisti da stropicciarsi agli occhi,a rileggere i nomi a venti anni di distanza:da Simeone a Veron,da Nedved a Stankovic,passando per Almeyda e Sergio Conceicao.Un mix letale di agonismo e corsa,visione di gioco e doti di inserimento,leadership e attributi.Il tutto senza neanche citare i piedi buoni di Mihajlovic che all'epoca aveva già completato la sua transizione da mezzala offensiva a difensore centrale al fianco di Nesta,e quelli di Roberto Mancini,più fantasista che centrocampista,e a fine carriera in virtù delle sue 36 candeline.Al di là del valore delle due rose,il vero fil rouge tra il passato e il presente è indubbiamente Simone Inzaghi,protagonista ieri in campo e oggi in panchina,di una Lazio che sogna un'impresa ancora più grande.
Se la Roma non riesce a spiccare il volo nei big match, venendo puntualmente ridimensionata, uno dei motivi risiede probabilmente nell'inesperienza ad alti livelli di alcuni titolari dell'undici tipo: giocatori come Ibanez, Villar e Karsdorp hanno mostrato ottime qualità nel corso della stagione, ma non hanno familiarità nel competere per traguardi come la qualificazione alla Champions League, proveniendo chi da mesi in panchina all'Atalanta, chi dalla seconda serie spagnola. Contro il Napoli mancavano, oltre a Veretout, Mkhitaryan e Smalling, due tra i più navigati nella rosa di Fonseca, anche se in campo c'erano comunque Dzeko e Pedro. Lo spagnolo in particolare era stato acquistato in estate a parametro zero dal Chelsea per rappresentare un valore aggiunto in termini di leadership e mentalità vincente, in virtù della sua sconfinata bacheca. Se da questo punto di vista non sembra aver particolarmente inciso sulla maturità del gruppo giallorosso, peraltro con più di un...
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