Euforia ed orgoglio, delusione e rancore, il 2020 della Lazio è stato tutto questo. Iniziato come meglio non poteva, perché i biancocelesti escono dai blocchi della sosta natalizia lanciatissimi, completando una pazzesca striscia di imbattibilità che arriva a 21 partite: la squadra gira a memoria e vince come se fosse la cosa più naturale del mondo, riflettendo la coesione di un gruppo che si dimostra unito anche fuori dal campo. Poi però arriva il lockdown a rompere l'incantesimo, a stoppare uno straordinario momento di forma e a togliere a Luis Alberto e compagni il sostegno del pubblico dell'Olimpico. Lotito alzerà la voce per riprendere il campionato perché percepisce alla portata l'obiettivo forse irripetibile dello Scudetto, ma la Lazio dopo tre mesi di inattività non tiene più il passo, tradita dalle fragilità della sua rosa che non è strutturata per essere competitiva con partite ogni tre giorni. Alla fine è solo un quarto posto che può sembrare il traguardo minimo dopo essere stati per lungo tempo alle costole della Juventus, ma che regala comunque come consolazione una qualificazione alla Champions League che non veniva raggiunta da 13 anni, se si esclude la trascurabile parentesi dei preliminari persi contro il Bayer Leverkusen nel 2015.
Merito di uno strepitoso Immobile, che si prende con 36 reti il record di marcature all-time in una singola stagione di Serie A (in compartecipazione con Gonzalo Higuain) e la Scarpa d'Oro, lasciandosi alle spalle Lewandowski e gli altri fenomeni del calcio mondiale; merito di Simone Inzaghi, capace di tirare fuori sempre il meglio dai suoi e di portarli nel secondo semestre anche agli ottavi, altro traguardo che mancava da ben 20 anni, dopo un girone da imbattuti.
Nel mezzo però c'è stata una "offseason", come la chiamerebbero negli States, poco serena per colpa di un mercato che portava con sè la responsabilità di alzare l'asticella delle ambizioni e che ad oggi ha fornito pochissime indicazioni positive tra i vari Muriqi, Fares, Escalante. L'intrigo David Silva poteva cambiare la storia, ma i dubbi nella testa di Inzaghi si sono fatti più insistenti a soli sei mesi dalla scadenza del suo contratto: è possibile ipotizzare un futuro insieme con investimenti in grado di stabilizzare il club tra le grandi d'Italia oppure è arrivato il momento di dirsi addio?
Merito di uno strepitoso Immobile, che si prende con 36 reti il record di marcature all-time in una singola stagione di Serie A (in compartecipazione con Gonzalo Higuain) e la Scarpa d'Oro, lasciandosi alle spalle Lewandowski e gli altri fenomeni del calcio mondiale; merito di Simone Inzaghi, capace di tirare fuori sempre il meglio dai suoi e di portarli nel secondo semestre anche agli ottavi, altro traguardo che mancava da ben 20 anni, dopo un girone da imbattuti.
Nel mezzo però c'è stata una "offseason", come la chiamerebbero negli States, poco serena per colpa di un mercato che portava con sè la responsabilità di alzare l'asticella delle ambizioni e che ad oggi ha fornito pochissime indicazioni positive tra i vari Muriqi, Fares, Escalante. L'intrigo David Silva poteva cambiare la storia, ma i dubbi nella testa di Inzaghi si sono fatti più insistenti a soli sei mesi dalla scadenza del suo contratto: è possibile ipotizzare un futuro insieme con investimenti in grado di stabilizzare il club tra le grandi d'Italia oppure è arrivato il momento di dirsi addio?
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